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Il retablo del Santo Cristo

Il retablo del Santo Cristo

18 novembre 2021

Oggi parliamo del grande retablo cinquecentesco cosiddetto del Sacro Cristo, dipinto da Pietro Cavaro nel 1533. Un vero tuffo nell’arte rinascimentale della Sardegna spagnola.

L’arte sacra in Sardegna, per quanto attiene le opere pittoriche, non può prescindere dalla produzione dei grandi e complessi retabli, vere macchine d’altare commissionate dagli ordini monastici che reggevano la chiesa che li ospitava.

Nella fattispecie, per quanto attiene agli scomparti residui dell’opera che andremo ad analizzare, trattasi di dieci grandi tavole; nove di esse custodite presso l’Antiquarium Arborense ed una all’interno della sacrestia della chiesa di San Francesco, sempre ad Oristano.

Le tavole purtroppo hanno perso nel corso dei secoli le cornici che le contenevano, sicuramente dipinte anch’esse, con il risultato di non avere l’esatta collocazione delle medesime, così come predisposte dal pittore Pietro Cavaro nel 1533 e volute dai Frati Minori Conventuali della città arborense.

Per cercare una risposta ci avvarremo del prezioso contributo di due eminenti studiosi quali sono Marcella Serreli e dello scomparso Padre Umberto Zucca che, rileggendo uno studio di Raffaello Delogu[4] sulla pittura del Cinquecento in Sardegna dove viene riproposta una ipotesi ricostruttiva.

E’ noto che Pietro Cavaro, documentato tra il 1508 ed il 1538, fu l’esponente più illustre della scuola pittorica di Stampace[5]. Il retablo di Oristano, a lavoro concluso, fu pagato dai frati e dagli obrieri[6] dell’Opera Santo Cristo doicentas ochenta libras il 14 luglio del 1533 al maestro pittore attraverso suo cognato Bernardino Orrù, come attesta la copia del documento di ricevuta.

Non esistono documenti che ci dicano in quale cappella fosse collocato il retablo, ma la sua denominazione “del Santo Cristo”, porta ad ipotizzarlo nella cappella in cui era esposto alla venerazione di tutti i sardi il crocifisso comunemente detto “di Nicodemo”, meglio conosciuto come Crocifisso di Oristano”, commissionato proprio come abbellimento e naturale integrazione.

Come già detto, ora si trova smembrato ed incompleto diviso tra il San Francesco che riceve le stigmate, nella sacrestia della chiesa omonima, e le restanti nove tavole conservate presso l'Antiquarium Arborense, nelle quali sono rappresentati Santo Stefano e San Nicola di Bari, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Apollonia, Sant’Antonio di Padova e San Bernardino da Bagnoregio, San Ludovico d’Angiò vescovo di Tolosa e San Bernardino da Siena, ed infine i cinque protomartiri francescani Berardo, Accursio, Adiuto, Ottone, Piero.

Con ogni probabilità la scomposizione del Retablo avvenne in seguito alla demolizione di quella chiesa gotica e alla costruzione della attuale neoclassica, tra il 1835 e il 1947; questa, opera di Gaetano Cima, per quanto bella nel suo stile, è dimezzata come ampiezza rispetto alla precedente, e quasi non permette di immaginare come proprio la cappella del Santo Cristo ne fosse il centro ideale sia sotto l’aspetto architettonico e artistico, sia sotto l'aspetto religioso e devozionale, dato che la chiesa era conosciuta e frequentata come “santuario del Crocifisso”.

Successiva è la dispersione delle tavole stesse: con ogni probabilità nel 1866, anno della legge di soppressione dell’asse ecclesiastico e della stessa evacuazione forzata dei frati dal convento, avvenuta il 24 agosto.

Se ai religiosi che continuarono a officiare la chiesa riuscì di conservarvi la tavola di San Francesco stigmatizzato e irrinunciabilmente il crocifisso ligneo di Nicodemo, le altre tavole furono invece prelevate dall’amministrazione comunale, che successivamente le cedette al nostro museo cittadino.

Il già citato Raffaello Delogu scrive di una tavola mancante al retablo, quella raffigurante con ogni probabilità la Crocifissione, deduzione logica in quanto la gran parte dei retabli sardi è provvista di questa iconografia nello scomparto superiore centrale.

 

I retabli sono le grandi pale dipinte che si collocavano sullo sfondo dell’altare, introdotti o dipinti in Sardegna da pittori di influenza iberica. Gli esemplari più antichi provengono dalla chiesa distrutta di San Francesco di Stampace a Cagliari e testimoniano le consuetudini pittoriche del tempo, in cui proprio la tavola raffigurante la Crocefissione assume una collocazione fissa in alto al centro, come si può osservare in altre opere coeve e esposte presso la Pinacoteca Nazionale di Cagliari.

Nel secolo scorso il mercato antiquario faceva incetta di dipinti su tavola, e nelle cronache del tempo si ebbe la notizia della vendita di alcune tavole raffiguranti anche la Crocefissione, ma non esiste una notizia che tra le tavole acquistate ve ne fosse una proveniente da Oristano.

Esclusa così la presenza di tale tavola nel retablo del Santo Cristo, occorre percorrere l’altra strada ricostruttiva: al centro, in primo piano, il Crocifisso di Nicodemo, tuttora esposto alla venerazione dei fedeli nella cappella orientale della chiesa di San Francesco, come da altri esempi iberici conosciuti.

L’ipotesi che al centro del retablo ci fosse uno spazio per l’alloggiamento del Crocifisso di Nicodemo richiede una ricostruzione che faccia i conti con le dimensioni metriche del crocifisso e della tavola di San Francesco stigmatizzato; dalle analisi dei due manufatti si è rilevata la perfetta coincidenza di misura tra il legno trasversale della croce e la larghezza della tavola del Cavaro.

Se tutto corrisponde a verità, si può supporre che non manchi alcuna tavola e che il retablo sia stato commissionato per dare illustre cornice al Crocifisso.

L’arrivo del Crocifisso di Oristano in Sardegna non è testimoniato da nessuna nota ufficiale, ma la sua assegnazione a scuola e periodo sono stati definiti dallo storico Aldo Sari “allo scorcio del XIV – primi del XV secolo”.

Le superstiti dieci tavole del retablo, cinque di grandi dimensioni e le rimanenti sensibilmente più piccole, consentono una ricostruzione grafica dell’originale.

Nella parte inferiore è presumibile che fossero posti i santi cronologicamente più antichi e connessi al mistero della croce o alla devozione francescana: Santo Stefano diacono e San Nicola di Bari, Santa Caterina d’Alessandria e Santa Apollonia; in alto comparirebbero invece i principali santi francescani quali Sant’Antonio di Padova e San Bonaventura, San Ludovico di Tolosa e San Bernardino da Siena. Sulla sommità del retablo, infine, la grande tavola di San Francesco che riceve le stigmate.

Resta ancora da definire l’esatta collocazione dei cinque scomparti più piccoli, raffiguranti i protomartiri francescani in Marocco: Berardo, Accursio, Adiuto, Ottone e Pietro.

 

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