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Il retablo del Santo Cristo appartenne in origine alla Chiesa conventuale oristanese consacrata al Santo d’Assisi.
L’edificio chiesastico sorse intorno alla metà del XIII secolo in forme gotiche, con nave unica e vano presbiteriale, ma venne in parte distrutto intorno al 1834-1838 e ricostruito secondo canoni neoclassici (pianta centrale cupolata e prospetto timpanato su colonne ioniche) da Gaetano Cima nel 1842.
Il polittico del Santo Cristo secondo un documento dell’Archivio francescano oristanese, edito da Remo Branca, venne pagato nel 1533 dai Minori di Oristano al pittore Pietro Cavaro di Stampace (Appendici di Cagliari).
Il Cavaro, nato a Stampace da una famiglia di pittori, che aveva messo su bottega sin dal Quattrocento, ebbe una formazione composita tra Barcellona, dove risulta iscritto al gremio dei pittori nel 1508, e Napoli, dove forse aveva sposato in prime nozze la vedova catalana Joana Godiel.
Il polittico è suddiviso tra la Sacrestia della chiesa di San Francesco che ospita lo scomparto centrale con San Francesco che riceve le Stigmate, e l’Antiquarium Arborense che possiede quattro scomparti laterali e cinque scomparti di predella o dei polvaroli.
In attesa di una ricomposizione del Polittico eventualmente nella Chiesa gotica di san Francesco, di cui si attende il recupero, è possibile avere oggi un’idea complessiva del Retablo nell’Antiquarium attraverso una riproduzione della tavola centrale e l’esposizione degli altri scomparti che, comunque, non ricompongono del tutto il grandioso retablo.
Lo scomparto delle Stigmate mostra il santo inginocchiato nell’atto in cui riceve le piaghe di Cristo, immerso in un paesaggio fiammingheggiante di colli erti coronati da cupi alberi, su cui si staglia una chiesa con un convento, nello sfondo d’un cielo carico di nubi bianche e grigie, aperto sul Cristo crocifisso che dardeggia Francesco.
I quattro scomparti laterali raffigurano in dotta conversazione i Santi Caterina e Apollonia, Bernardino e Ludovico da Tolosa, Stefano e Nicola di Bari, Antonio da padova e Bonaventura.
Le cinque tavole minori, appartenenti alla predella o ai polvaroli, rappresentano, infine, i santi martiri francescani del Marocco, Accursio, Pietro, Adiuto, Ottone e Bernardo, trucidati con terribili modalità del martirio.
Il retablo del Santo Cristo è opera matura del Cavaro, ma ad un tempo è opera fortemente enigmatica, poiché nella tavola centrale, con le stigmate di Francesco, l’unica autografa dell’intero polittico, il Cavaro sembra volgersi decisamente alle antiche lezioni fiamminghe che sembravano del tutto superate già nel Retablo di Villamar del 1518, intriso di «stimoli rinascimentali».
L’affermata derivazione del polittico oristanese dalla tavola con le stigmate di San Francesco di Pedro Fernandez del 1515, ora nella Galleria sabauda di Torino, consente di comprendere la ripresa di maniere fiamminghe nella tarda opera di Pietro Cavaro (Renata Serra).