Salta la barra di navigazione e vai ai contenuti
5 marzo 2016
Il nuovo Antiquarium Arborense, completamente restaurato nei locali e nell'esposizione, sarà inaugurato venerdì 11 marzo alle 18.30, dal Sindaco Guido Tendas alla presenza dell’Assessore regionale ai Beni culturali Claudia Firino, del Soprintendente archeologo della Sardegna Marco Edoardo Minoja, del Direttore del Polo Museale della Sardegna Giovanna Damiani, del curatore del museo oristanese Momo Zucca e del Presidente della Cooperativa La Memoria Storia Susanna Naitza.
Il nuovo Museo si articola in due livelli:
Pianterreno: I sala e museo tattile
Piano superiore: II sala, sala Retabli, sala video e sala esposizioni temporanee
I sala: La sabbia del tempo
La sala intende presentare un quadro, rapido come la sabbia del tempo di una clessidra, della storia del territorio dell’Oristanese dalle origini dell’insediamento umano in fase neolitica antica (7500 anni fa), richiamato dalla ossidiana del Monte Arci, oggetto di un intenso commercio internazionale, alla diffusione dell’uomo nel neolitico medio e recente nel Sinis, nel Montiferru, nel Campidano, nel Barigadu, fino alla comparsa dei metalli (il rame) e del bronzo. A partire dal 1500 e fino al 1000 si estende la cultura nuragica con numerosi ed importanti nuraghi in questo territorio. Dopo il 1000 inizia una cultura, frutto degli incontri mediterranei con i micenei, i ciprioti e i levantini, che da un lato si richiama all’età dei “giganti” costruttori dei nuraghi e delle tombe “dei giganti”, dall’altro costruisce templi a pozzo, a “megaron” e a “rotonda”, spesso in conci squadrati; realizza centinaia di statuette in bronzo e, a Mont’e Prama, nel Sinis, erige un popolo di statue di guerrieri colossali in calcare, accanto alle tombe individuali degli “eroi” inumati.
Verso il 630 a.C. i Fenici costruiscono insieme a gruppi di Sardi le due città di Othoca (Santa Giusta) e Tharros. Seguirà intorno al 520 la fondazione del “mercato nuovo” cartaginese di Neapolis. Queste città crescono in età cartaginese (fino al 238 / 237 a.C.) e, successivamente in età romana, accanto alle nuove città di Cornus, Uselis e Aquae Ypsitanae-Forum Traiani. Il cristianesimo si diffonde a partire dal IV secolo d.C. Poi verranno i Vandali, i bizantini, gli Islamici e i re o Giudici d’Arborea...ma questa è un’altra storia che sarà narrata nel Museo regionale della Sardegna giudicale nel barocco Palazzo Arcais, che prospetta sulla via Dritta.
Il Museo tattile presenta una selezione di oggetti delle varie fasi culturali rappresentate nel Museo, realizzati per essere “letti” attraverso le mani dei bambini, degli ipovedenti e dei non vedenti. Inoltre sono presenti dei modelli di opere d’arte medievale e cinquecentesca della sala retabli, della Cattedrale e della chiesa di San Francesco di Oristano.
II sala: La famiglia dell’antiquario
In questa sala la goldoniana famiglia dell’antiquario è formata naturalmente dal protagonista, l’avv. Efisio Pischedda, ma anche da tutti i suoi predecessori, oristanesi e non, che vivevano terque quaterque beati nella contemplazione dei loro ori, delle gemme, dei vetri iridescenti. A far corona a questa famiglia sono gli archeologi che hanno ricostruito con i loro scavi e le loro infuocate passioni il mondo antico, da Schliemann a Evans, da Champollion a Rawlinson, a Austen Layard, Paul Émile Botta fino a Wolley, e gli italiani nella loro patria e nelle loro missioni all’estero (da Pigorini, a Orsi, a Halbherr e Pernier, a Gàbrici, Ducati, Minto etc.). Gli archeologi vengono raccontati attraverso manoscritti e edizioni originali dei loro libri e con pannelli che ricreano le loro fisionomie e i loro scavi.
Fungono da introduzione diretta ad Efisio Pischedda archeologi e storici sardi: da Alberto Lamarmora, Vittorio Angius, Giovanni Spano e Gaetano Cara. Questi ultimi due, legati da una forte amicizia, si scontrarono per un ventennio dopo la conquista da parte dello Spano del Rettorato dell’Università di Cagliari (da cui dipendeva il museo retto dal Cara). Al Cara si imputa la vendita di ingenti collezioni tharrensi e l’acquisizione per il proprio Museo dei falsi idoli sardo-fenici.