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28 giugno 2020
Alla fine del III millennio a. C. appartengono le prime testimonianze di barre in vetro grezzo destinate alla lavorazione, mentre alla metà del secondo millennio risalgono le prime fusioni vitree realizzate con la tecnica del “nucleo friabile” precedente al metodo della soffiatura.
Il repertorio dei balsamari in vetro policromo della documentazione sarda rimanda al repertorio della produzione mediterranea. L’origine degli esemplari riporta a fabbriche orientali dell’isola di Rodi, centri siro-palestinesi, Egitto, Cipro, Cartagine, Italia tirrenica, Sicilia e Sardegna.
Il panorama sardo offre diverse tipologie di balsamari ispirati alle forme ceramiche greche (alabastra, aryballoi, amphoriskoi, oinochoai) destinati ad accogliere profumi e balsami.
Data la cospicua quantità dei ritrovamenti, è difficile individuare nello specifico le componenti etniche responsabili della filiera produttiva e commerciale fra VI e IV sec. a. C.
Il valore suntuario verosimilmente non doveva essere rappresentato solo dal contenitore ma soprattutto dal contenuto. Potrebbe essere l’essenza a rappresentare un valore ostentatorio in determinate occasioni dalle persone che lo INDOSSAVANO (come disse Marilyn Monroe rispondendo alla domanda “What do you wear to bed?” del giornalista “What do I wear to bed? su Life magazine del 7 aprile1952: Whay, Chanel No. 5 of course”), così come dimostra la rappresentazione di questa classe di oggetti sulle stele, o rilievi funerari nei quali viene mostrato appeso al polso di personaggi legati alla sfera elitaria.
A cura di Anna Paola Delogu