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Archeoquiz: gli aghi crinali di epoca romana

Gli aghi crinali conservati presso l'Antiquarium Arborense

16 novembre 2020

Una delle categorie di reperti in osso lavorato maggiormente attestate è senza dubbio quella degli spilloni o aghi crinali.
 
Gli spilloni si diffondono in modo capillare nel mondo romano in età imperiale, ed in particolare nelle fasi tarde, quando l’acconciatura delle donne diviene più elaborata, caratterizzata da alti diademi di capelli, anche posticci, che si elevano sopra la fronte. A lanciare il nuovo modo di portare i capelli è spesso la “First Lady”, cioè la moglie dell'imperatore, o le donne della sua famiglia.


 

Eccovi un approfondimento sul tema a cura di Anna Paola Delogu: 

I materiali romani della collezione Pischedda dell’Antiquarium Arborense provengono in larga parte da scavi e ritrovamenti casuali di tombe di Tharros e del Sinis.
Da esse derivano anche elementi riconducibile al mondo della toletta e dell’acconciatura femminile molto simili a quelli che conosciamo oggi: vari specchi circolari in bronzo, aghi crinali, elementi di cofanetti in osso (placchette e bottoncini), e balsamari in vetro soffiato.
Tra i materiali che in maggior misura attirano la curiosità degli studiosi, possiamo annoverare gli oggetti in osso lavorato poiché, costituivano manufatti strettamente personali, intimi potremmo dire, e indicano quali fossero i gusti e gli hobbies di chi li adoperava, tra questi i più numerosi sono certamente gli strumenti di uso pratico e quotidiano, come aghi da cucito, cucchiai, “stuzzicadenti” per l’estrazione di molluschi, oggetti per l’attività ludica, ad esempio dadi e tessere lusorie, astragali, stili, intarsi ed elementi di cerniera utilizzati per il rivestimento e la funzionalità di scatole, mobili e letti in legno.
L’uomo sin dalla preistoria ha utilizzato le molteplici materie dure di origine animale (conchiglie, coralli, palchi di cervidi, denti, ossa ecc.), ma è in ambito vicino orientale e in quello classico che l’industria artigianale dell’osso e dell’avorio presenta una sempre più ricca varietà di oggetti. Lo studio dettagliato delle tracce lasciate sui manufatti semilavorati, permette di avanzare alcune ipotesi sulla tecnica e sulla tipologia degli strumenti utilizzati nell’intera catena di lavorazione e foggiatura. Purtroppo le fonti scritte giunte sino a noi non tramandano notizie sufficienti per determinare come fossero trattati questi materiali: per l’epoca classica infatti non sono disponibili fonti letterarie come opere e trattati che affrontino in modo specifico la lavorazione dell’osso e dell’avorio. Sono le fonti epigrafiche a menzionare la figura professionale degli artigiani dediti a questa produzione. Abbiamo il riferimento di mercanti e dei loro negozi specializzati in prodotti specifici (per es. il produttore di aghi era chiamato acuarius e quello di pettini faber pectinarius).  Una serie di epigrafi funerarie rinvenute a Roma, menzionano anche la figura professionale degli artigiani dediti alla produzione di oggetti in avorio: viene infatti utilizzato il termine eborarius/eburarius ma non è chiaro se indichi l’artigiano, il titolare di una bottega di produzione oppure un commerciante che trattava su vasta scala il commercio di manufatti in avorio e la materia prima.
Venivano utilizzati sia l’avorio che l’osso e avevano pari dignità nella loro lavorazione; non bisogna pensare, infatti, che l’osso fosse un semplice sostituto “povero” dell’avorio, i due materiali avevano caratteristiche strutturali differenti che influivano sulla scelta dell’uno o dell’altro per la fabbricazione dei diversi oggetti (l’osso rispetto all’avorio è più duttile ed elastico soprattutto per gli utensili come aghi e cucchiai). Le ossa maggiormente utilizzate per l’intaglio erano soprattutto le ossa lunghe degli arti (radio, omero, femori e tibia), che potevano essere reperite facilmente nei diversi macelli delle città o anche nelle concerie, a tale scopo erano principalmente utilizzate le carcasse dei bovini, in maniera inferiore quelle degli equini in relazione al fatto che tali animali non rientravano nel sistema alimentare abituale del mondo romano; cavalli, asini e muli erano usati esclusivamente come cavalcature o come bestie da soma. Del resto numerosi testi, sia greci che latini, riportano che gli eserciti antichi mangiavano carne equina solo quando minacciati dalla fame.
Una delle categorie di reperti in osso lavorato maggiormente attestata è senz’altro quella degli spilloni abitualmente definiti anche aghi crinali: talvolta realizzati anche in materiali come bronzo o metalli preziosi. Erano impiegati per sostenere le acconciature femminili sulla parte posteriore del capo (acus crinalis) oppure per dividere le varie ciocche di capelli (acus discriminalis) contraddistinti talvolta da elaborate decorazioni plastiche o incise a sottolineare una più spiccata funzione ornamentale, o essere talvolta caratterizzate da sobrietà formale e piccole dimensioni per permetterne la loro totale scomparsa tra le ciocche. Gli spilloni potevano avere anche una duplice funzione come quella relativa all’applicazione di essenze o cosmetici sulla pelle, come dimostrato dall’annerimento delle estremità di alcuni esemplari, interpretato come evidenza dell’applicazione di sostanze riscaldate, come la cera per capelli. In ogni caso tale annerimento sarebbe determinato dal contatto con sostanze oleose come unguenti e profumi, con funzione analoga a quella dei mélangeurs tortili in vetro rinvenuti nei contesti abitativi e funerari romani. Tale funzione è già documentata su due stamnoi (grande vaso in ceramica per vino) a figure rosse di produzione falisca, databili alla prima metà del IV sec. a.C., rinvenuti a Orvieto, sui quali è rappresentato un eroe che tiene in una mano un alabastron (piccolo recipiente per unguenti) e nell'altra uno spillone con testa sferoidale con il quale profuma i capelli di Arianna abbracciata da Dioniso.
Gli spilloni si diffondono in modo capillare nel mondo romano in età imperiale, ed in particolare nelle fasi tarde, quando l’acconciatura delle donne diviene più elaborata, caratterizzata da alti diademi di capelli, anche posticci, che si elevano sopra la fronte.  A lanciare il nuovo modo di portare i capelli è spesso la “First Lady”, cioè la moglie dell'imperatore, o le donne della sua famiglia.
Gli aghi crinali vengono identificati nelle fonti letterarie anche con il sostantivo latino acus (che può anche indicare strumenti acuminati di vario genere, a seconda del contesto in cui viene utilizzato). In molteplici passi pertinenti ad autori classici, il termine acus viene definito in modo inequivocabile come ornamento per i capelli, e alcune volte l’aggettivo crinalis ne specifica ulteriormente la funzione.
Tra gli esempi di utilizzo del termine acus in letteratura, ma anche di uso improprio di tale oggetto, sbbiamo i versi  di Ovidio nei quali viene suggerito alla matrona di evitare di ferire con lo spillone la schiava addetta all’acconciatura (ornatrix)  (Ars am., III, 240)
Gli spilloni per fissare i capelli li ritroviamo anche in due passi dello storico Dione Cassio. Il primo risale all’episodio leggendario secondo il quale Fulvia, moglie di Marco Antonio, tenendo sulle ginocchia la testa di Cicerone assassinato, gli avrebbe trafitto la lingua con gli spilloni che usava per la testa (XI. VII.8). Un secondo passo di Cassio, narra la versione secondo la quale Cleopatra si sarebbe suicidata con uno spillone unto di veleno che era solita portare in testa tra i capelli (LI, 14).
In Apuleio, una donna si vendica dell’assassinio del marito perforandogli gli occhi con lo spillone che recava in testa. (Metam..VIII. 13)
Petronio riferisce di una donna che si serve impropriamente di uno spillone usato per l’acconciatura per tormentare le guance del protagonista del racconto (Satyricon. 21)
Le numerose fonti iconografiche relative al mondo femminile romano, mostrano raramente la rappresentazione degli spilloni, infatti, per lo più, questi dovevano svolgere la loro funzione senza essere visibili, ma in alcuni casi compaiono quelli di dimensioni notevoli, contraddistinti da elaborate decorazioni plastiche o incise,  riconducibili a fenomeni dettati dalla moda dell’epoca. Alla luce attuale degli studi, solo un gruppo di sculture, collocabili tra l’età flavia e l’età traianea, appaiono accomunate da questo tipo particolare di spillone, rappresentato in una statua in marmo da Apt (Vaucluse), un busto custodito a Palazzo Corsini a Roma, un piccolo busto in terracotta da Siviglia. Lo stesso tipo di spillone, compare anche in una lastra funeraria marmorea dedicata ad una ornatrix custodita nei musei vaticani. Altre  testimonianze iconografiche di tali spilloni sono relative ad un gruppo di ritratti dipinti sulle mummie egiziane, di epoca romana.
Per quanto riguarda le testimonianze archeologiche, purtroppo gran parte degli spilloni provengono da scavi ottocenteschi, epoca nella quale, tali manufatti, godendo di scarsa attenzione, non hanno permesso dati precisi sui contesti di provenienza. Siamo a conoscenza di necropoli in cui insieme a ciocche di capelli si son conservati anche gli spilloni che facevano parte dell’acconciatura e di tombe ad inumazione, dove, in prossimità del cranio sono stati rinvenuti tali spilloni.
Diversi contesti indagati in questi anni nel territorio di Roma, hanno restituito testimonianze importanti in merito alla collocazione delle botteghe specializzate nella lavorazione dell’osso, inquadrabili tra la fine del I secolo a. C. e il IV secolo d. C.  Numerosi resti animali con evidenti tracce di taglio relativi a discariche di materiali di scarto si trovano sia nell’area del Campo Marzio e del Colosseo (dove sembra si producessero prevalentemente elementi per mobili, (impiallacciature, decorazioni, cerniere ecc.) mentre le botteghe che dovevano trovarsi alle pendici del Gianicolo erano specializzate nella produzione di aghi crinali, e altri piccoli oggetti.
Anche nel Colosseo sono stati recuperati diversi aghi crinali ma con ogni probabilità questi non provengono dalla discarica di una bottega artigianale, ma semplicemente rappresentano oggetti di uso quotidiano persi dai fruitori degli spettacoli circensi, così come quelli rinvenuti presso i complessi termali o le abitazioni.
 
Bibliografia
- Bianchi C., 1995, Spilloni in osso di età romana. Problemi generali e rinvenimenti in Lombardia, Milano.
- Bianchi C., 2019,  Testimonianze della lavorazione dell’avorio e dell’osso in epoca romana: stato della ricerca e recenti casi di studio.
- De Grossi Mazzorin. J., Minniti C.,  2009, La lavorazione dell’osso e dell’avorio nella Roma antica Att i del 6° Convegno Nazionale di Archeozoologia --Centro visitatori del Parco dell’Orecchiella 21-24 maggio 2009 San Romano in Garfagnana – Lucca
De Grossi Mazzorin. J, 2016, Artigiani dell'osso, avorio e palco. Ornamenti, utensili e giochi dalla preistoria al medioevo.
- Frontori I.,  2012, Reperti in osso lavorato dal quartiere centrale di Nora, “LANX”13(2012), pp.117‐140
- Luciani. A., 2009, Seduzione e svago in epoca romana: I reperti in osso lavorato del criptoportico di Alife.
- Soranna G., 2016 La lavorazione delle materie dure animali a Roma tra VIIIi e III  sec. a.C. dalla manifattura all’utilizzo, in  M. Cristina Biella, Roberta Cascino, Antonio F. Ferrandes, Martina Revello Lami (a cura di), Gli artigiani e la città. Officine e aree produttive tra VIII e III sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica (Atti della giornata di studio della British School at Rome 11 gennaio 2016), Roma
- Zucca R. 1997, Antiquarium Arborense, Sardegna Archeologica, Guide e itinerari, Sas

 


 

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