Antiquarium Arborense - Museo archeologico Giuseppe Pau OristanoAntiquarium Arborense - Museo archeologico Giuseppe Pau Oristano

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Antiquarium Arborense
Piazza Corrias, 09170 Oristano - Tel: 0783 791262 - info@antiquariumarborense.it

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Il Museo Antiquarium Arborense è articolato su due piani: nel piano terra troviamo la mostra temporanea “Carlo Alberto archeologo in Sardegna e gli idoli bugiardi”, la mostra temporanea “Il popolo di bronzo” e una raccolta archeologica di materiali provenienti da Tharros, Fordongianus e Neapolis e Othoca. Il piano terra ospita anche una sezione tattile che contiene le riproduzioni di manufatti del patrimonio storico, archeologico e artistico del territorio oristanese.
Nel primo piano troviamo una sala archeologica con soppalco, al centro della quale vi è il plastico ricostruttivo della città di Tharros al tempo dell'imperatore Costantino nel IV secolo d.C.. Nella sala accanto, possiamo ammirare la sala con i retabli, pale d'altare del 1400 e del 1500, al centro della quale si trova il plastico ricostruttivo di Oristano in età giudicale nel XIV secolo d.C., quando la città era protetta da una imponente cinta muraria.


Vetrina n.2 e vetrine al centro della sala archeologica
Mostra temporanea “GLI IDOLI BUGIARDI”
Gli idoli che vedete sul lato sinistro nella prima vetrina (sul lato destro sono esposti i bronzi nuragici autentici) rappresentano una delle più grandi truffe dell’archeologia della prima metà dell’Ottocento. La truffa fu ideata dall’allora direttore del Regio Museo Archeologico di Cagliari, Gaetano Cara, il quale, con la complicità di un abile fabbro, iniziò a produrre una serie di idoli sardo-fenici: tali idoli vennero distinti dai bronzi nuragici autentici (che rappresentano guerrieri, principi, sacerdotesse, popolani, animali, manufatti, modelli di nuraghi e di navicelle, dell'universo sardo del IX-VIII secolo a.C.) come rappresentazioni fantastiche di divinità sarde ispirate dai Fenici, i quali raggiunsero le coste della Sardegna intorno alla seconda metà del IX secolo a.C. I falsari crearono diverse categorie di idoli, che raccontavano un universo di dèi antropomorfi e antropozoomorfi: dèi-uomini o dèi mostruosi che mescolavano tratti umani e tratti bestiali.
Gaetano Cara fu, inoltre, il protagonista di un importante scandalo per aver venduto al British Museum di Londra, al Musée du Louvre di Parigi e all'asta Christie's di Londra due intere collezioni di manufatti archeologici provenienti da Tharros, per un ammontare di circa 400.000 € attuali.

 

 

Vetrina n.3: il percorso, in ordine cronologico, inizia con il periodo della presenza fenicia in Sardegna (IX secolo a.C.) e vede materiali provenienti essenzialmente da Tharros, oltre che dal golfo di Oristano: bronzi nuragici (ritrovati all'interno di tombe fenicie), una coppia di buoi aggiogati, faretrine e spilloni nuragici; ceramiche, argenti e armi in ferro, pesi in piombo.
Uno dei reperti più importanti, simbolo del nostro museo, è la maschera ghignante, che veniva posta sopra il volto del defunto per scacciare gli spiriti maligni. Tre maschere di questo tipo furono ritrovate a Tharros all'interno di sepolture: una è conservata nel British Museum di Londra, una nel Museo Archeologico di Cagliari e una la possiamo ammirare nell'Antiquarium Arborense.
Ancora da Tharros i buccheri etruschi, la ceramica etrusco-corinzia, laconica e corinzia; terrecotte figurate, ceramica funeraria e un'anfora fenicia.

Vetrina n.4: le urne cinerarie e le stele provengono dall’area del tofet di Tharros: si trattava di un santuario a cielo aperto circondato da un recinto sacro, che conteneva al suo interno migliaia di urne con i resti di bambini nati morti o morti in tenera età e di animali sacrificati, spesso con frammenti di corallo e ossidiana con valore apotropaico; in centinaia di stele in arenaria la divinità
era raffigurata in forma aniconica o antropomorfa, spesso accolta all'interno di tempietti.

Vetrina n.5: del periodo della presenza punica nell'isola, possiamo ammirare i gioielli in oro (anelli digitali, crinali e orecchini), un porta-amuleto a forma di colonna scanalata e dei sigilli-scarabei.
Tra le terrecotte figurate spicca per importanza il temple-boy, la cui funzione era quella di porre sotto la protezione della divinità il bambino o la bambina, spesso rappresentati senza vesti e con un animale domestico sottobraccio; due timbri per il pane, uno dei quali con i tre volti della Gorgone; gli ex-voto che i fedeli dedicano alle divinità per guarire dalle malattie; una tavoletta votiva (pinax) con Sileno itifallico a orecchie equine, nello schema della corsa in ginocchio.

Tra il materiale attico del periodo cartaginese a Tharros, vediamo una coppa skyphos a figure nere con Ercole che combatte contro il toro di Creta, e le monete allora in circolazione (la prima monetazione arriva proprio con i Cartaginesi), e poi infine il famoso leone del tempio monumentale punico di Tharros. Si tratta di uno dei due leoni che si trovavano affrontati l'un l'altro all'ingresso del tempio.

Vetrina n.6: nel passaggio da Cartagine a Roma, l’elmo di tipo Montefortino è stato rinvenuto verosimilmente nel luogo in cui si svolse la battaglia di Cornus. Siamo nel 215 a.C. nel bel mezzo della seconda guerra tra Roma e Cartagine guidata da Amsicora e suo figlio Josto. Si trattava probabilmente di due nobili sardi di origine punica, che per l’occasione chiesero aiuto per combattere contro Roma alla stessa Cartagine e alle popolazioni sarde dell’interno dell’isola. Vediamo poi un cumulo di glandes fictiles (proiettili per frombola in terracotta) da Tharros e proiettili per catapulta.
Ceramiche a vernice nera del II-I secolo a.C. e un'anfora greco-italica.
Parlando di commerci, troviamo alcuni lingotti in piombo con marchio dell'imperatore Adriano di produzione sarda dal relitto di Pistis (Arbus) e un lingotto in piombo da Carthago Nova dal relitto di Mal di Ventre.

Vetrina n.7: provengono ancora da Tharros uno stilo e un codex multiplex (tavoletta cerata per scrivere), un piatto in Campana B con graffito latino ARIS (nome punico), un frammento di patera in Campana A con graffito retrogrado in greco Apolonis da Neapolis, un'iscrizione greca di Aristodikos (di Marsiglia) da Tharros.
Le iscrizioni funerarie ci testimoniano la presenza dei cristiani fin dal IV secolo d.C.
Come sappiamo che queste iscrizioni sono funerarie? Lo evinciamo dalla loro intitolazione e dalla chiusura. In un’epigrafe funeraria troveremo sempre in alto l’acronimo D. M. che sta per Diis Manibus, ovvero gli Dei Mani, divinità ctonie, cioè degli inferi, che per i Romani erano oggetto di devozione sia in ambito familiare che cittadino e avrebbero protetto l’anima del defunto nell’aldilà. In queste iscrizioni vediamo apparire simboli cristiani, come il cristogramma e la foglia d’edera, rampicante che simboleggia devozione e fedeltà.

Vetrina n.8: da Forum Traiani, la colonia fondata dall’imperatore Traiano in Sardegna, provengono queste due statue loricate, dalle corazze estremamente decorate. Abbiamo poi una testa di Livia, la moglie di Augusto. Riconosciamo l’identità di Livia attraverso l’acconciatura dei capelli, poiché nella statuaria romana ogni donna importante che veniva rappresentata aveva un particolare e singolare modo di acconciare i capelli. Troviamo poi il Dio Silvano proveniente da Tharros e la statua di Afrodite Urania da Neapolis.
La targa in bronzo rappresenta il patto di ospitalità tra la colonia augusta Iulia Uselis e M.Aristius Balbinus Atinianus nel 158 d.C.
Bronzetto di gladiatore.
Tabula lusoria da Tharros per il gioco dei latrunculi e dado in osso da Neapolis: i Romani avevano una grande passione per questi giochi, tanto che si giocava nelle taverne, per strada e spesso si aveva il dado sempre pronto con sè.
Matrice per pane con giochi erotici eterosessuali da Tharros.
Iscrizione triviale parlante: questo blocco in ignimbrite proviene dalla Barbagia (attuale Meana Sardo) e vi sono scolpiti due falli con un'iscrizione latina che dice: “vedi due falli? Il terzo sono io che sto leggendo!” Al di là della trivialità dell'espressione, l'iscrizione attesta che nel 50 a.C., in una zona così interna dell'isola, si sapeva scrivere e leggere il latino.

 

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